La prostata è una ghiandola che presenta in normali condizioni la forma e le dimensioni simili a quelle di una castagna; è attraversata al centro dall’uretra e si trova tra la vescica ed il retto. Ha come funzione principale quella di produrre il liquido seminale che contribuisce alla formazione dello sperma.
Il tumore della prostata è la forma più comune di tumore del maschio adulto e rappresenta il 20% di tutte le diagnosi di neoplasia. Nonostante sia il tumore più frequentemente diagnosticato nel maschio, è una malattia che se individuata per tempo può essere curata e dalla quale si può guarire.
I fattori di rischio che incidono sullo sviluppo del PCA (cancro alla prostata) sono:
l’avanzare dell’età: le possibilità di ammalarsi prima dei 40 anni sono quasi nulle; dopo i 50 anni aumentano notevolmente e l’età media al momento della diagnosi è di circa 70 anni. Si stima che circa il 70% degli uomini oltre i 90 anni sia affetta da un tumore alla prostata.
la razza: la malattia è meno diffusa in Asia ma ampiamente diffusa in Europa e negli Stati Uniti d’America soprattutto tra la popolazione di origine africana.
la familiarità poiché avere un parente consanguineo come un fratello o un padre con un tumore alla prostata raddoppia il rischio di ammalarsi rispetto a chi non ha casi in famiglia;
la genetica allo stato attuale delle evidenze scientifiche si riscontrano alcune mutazioni genetiche ricorrenti nei pazienti affetti da PCA.
Ulteriori fattori di rischio sono rappresentati dall’obesità e più in generale dalla sindrome metabolica, dal fumo, la dieta, l’abuso di alcool.
La prevenzione è la prima “cura” che un uomo sopra i 40 anni debba fare.
Il PCA nella prima fase è asintomatico. I sintomi insorgono con l’aumentare della massa tumorale dando origine a disturbi urinari come difficoltà ad urinare, dolore durante la minzione, presenza di sangue nelle urine.
Prevenzione e diagnosi
La prevenzione e una diagnosi precoce rendono il tumore alla prostata curabile. Gli urologi consigliano almeno una visita urologica all’anno dopo i 45 anni di età sorvegliando tramite specifico esame il dosaggio del PSA nel sangue.
Il PSA è una glicoproteina prodotta principalmente dal tessuto ghiandolare prostatico. Viene secreto nel liquido seminale e, in condizioni fisiologiche, solo minime quantità raggiungono il circolo sanguigno.
Da quando negli anni ’90 la “Food and Drug Administration” (FDA) approvò il dosaggio del PSA tot nel sangue si è assistito ad un progressivo incremento delle diagnosi del tumore alla prostata con una sostanziale riduzione della mortalità da PCA.
Il PSA non è tuttavia un vero e proprio marker tumorale ma può essere più correttamente definito come un indicatore dello stato di salute della prostata. Il suo aumento infatti non deve ineluttabilmente essere dovuto alla presenza di una malattia tumorale maligna. Sono tante infatti le condizioni o comunque le patologie non tumorali che possono alterare questo valore del sangue. Tra le più comuni ricordiamo le infezioni delle vie urinarie, le prostatiti acute e croniche, l’iperplasia prostatica, il cateterismo vescicale, una recente esplorazione rettale con palpazione della prostata, l’eiaculazione, lunghe gite in bici.
Un singolo riscontro di valori superiori alla media non deve quindi destare particolare preoccupazione, anche perché non esiste una soglia di sicura positività: normalmente si considera degna di attenzione una concentrazione di PSA superiore a 4 ng/mL, ma valori inferiori non permettono di escludere completamente la malattia.
Vista la scarsa sensibilità del dosaggio del PSA tot nell’individuazione precoce del tumore della prostata, è necessario che il paziente venga adeguatamente informato sia sulle modalità di preparazione all’esecuzione dell’esame (evitare rapporti sessuali o lunghe gite in bici nei giorni che precedono il prelievo di sangue) sia sulle possibili conseguenze cui si può andare incontro a seguito del rilievo di valori aumentati di questo esame.
In questa fase diventa indispensabile il ruolo dell’Urologo: l’integrazione del PSA tot con le informazioni derivanti da un’anamnesi accurata e scrupolosa e dalla visita con l’esplorazione digito-rettale permettono di capire quale sia il reale rischio di presenza di un tumore maligno della prostata.
La risonanza magnetica multiparametrica della prostata è un esame che sta cambiando in modo radicale le prospettive diagnostiche e terapeutiche del carcinoma della prostata. Prima dell’introduzione della mpRMN nella pratica clinica non esisteva nessuna metodica di imaging che potesse permettere la diagnosi precoce del tumore della prostata. La risonanza magnetica multiparametrica della prostata è un esame non invasivo e che non espone il paziente a radiazioni ionizzanti. Questo tipo di risonanza magnetica viene definita “multiparametrica” in quanto vengono acquisiti multipli parametri che, insieme, permettono una diagnosi più precisa: morfologia, perfusione ematica, densità cellulare e metabolismo. La mpRMN permette di “vedere” alterazioni della ghiandola prostatica sospette per tumore maligno con un grado di aggressività biologica da moderato ad alto, i cosiddetti tumori “clinicamente significativi”.
Oggi la risonanza multiparametrica viene utilizzata nella pratica clinica per:
selezionare i pazienti con PSA tot alterato da sottoporre a biopsia, in modo da evitare procedure invasive non indicate;
Valutare in modo accurato l’estensione delle neoplasie e pianificare in modo ottimale sia il trattamento chirurgico che un eventuale trattamento radioterapico;
il follow-up di pazienti portatori di neoplasia prostatica poco aggressiva che scelgono in alternativa al trattamento chirurgico un programma di “sorveglianza attiva”;
La risonanza magnetica multiparametrica ha rivoluzionato la diagnostica del tumore prostatico soprattutto con l’introduzione della biopsia prostatica “Fusion”. La biopsia “Fusion” rappresenta l’avanguardia tecnologica nel campo delle biopsie prostatiche. Con l’ausilio di un particolare tipo di software che permette di “fondere” in tempo reale le immagini ecografiche con quelle della risonanza magnetica della prostata, siamo in grado di eseguire dei prelievi mirati sulle aree di prostata sospette per malattia tumorale. Questo aumenta notevolmente la possibilità di diagnosticare un tumore prostatico clinicamente significativo, riducendo il numero di prelievi eseguiti a favore di un minore rischio di complicanze ed un minor discomfort per il paziente.
Terapia del tumore della prostata
Il carcinoma prostatico può presentare livelli di aggressività molto variabili. L’eterogeneità biologica del tumore prostatico può manifestarsi con forme estremamente aggressive, in grado di espandersi velocemente portando al decesso del paziente o con forme quasi completamente indolenti, dotate di crescita molto lenta e incapaci di causare seri danni al paziente anche dopo molti anni.
Il livello di aggressività biologica può essere determinato attraverso la valutazione di una serie di fattori prognostici. Uno dei più importanti è rappresentato dallo Score di Gleason. Questo parametro viene determinato dall’anatomo patologo sui frammenti di prostata che vengono prelevati durante la biopsia prostatica ed è indispensabile per orientare la scelta terapeutica.
Semplificando il concetto, sulla base di quanto l’aspetto del tessuto tumorale si allontana dall’aspetto del tessuto prostatico sano, si assegna un numero progressivo che può variare da 1 a 5. Il punteggio 1 rappresenta una forma tumorale con caratteristiche tissutali molto simili a quelli della ghiandola prostatica normale, mentre un punteggio di 5 identifica un tessuto tumorale completamente sovvertito e indifferenziato. Per arrivare a calcolare lo Score di Gleason si identificano le due aree tumorali maggiormente presenti e poi si sommano i valori. Lo score di Gleason può quindi variare da 6 (3+3) fino ad un massimo di 10 (5+5): in generale un tumore con un Gleason score fino a 6 è considerato a “basso rischio” mentre i casi con punteggio uguale o superiore a 8 vengono classificati ad “alto rischio”. Il Gleason score pari a 7 rappresenta un “rischio intermedio”. Per la determinazione del grado di rischio contribuiscono altri fattori quali i valori di PSA tot, l’estensione locale della malattia (valutabile tramite l’esplorazione digito-rettale della prostata o con la risonanza magnetica multiparametrica) e il numero di prelievi bioptici positivi per tumore.
Nei pazienti affetti da tumore prostatico localizzato e con un livello di rischio intermedio o alto, una delle opzioni terapeutiche attuabili è l’intervento chirurgico di prostatectomia radicale. L’intervento consiste nell’asportazione completa della prostata e delle vescicole seminali e, se indicato, anche dei linfonodi regionali. Dopo aver rimosso la prostata, la vescica viene “riconnessa” (anastomosi) con l’uretra per ristabilire la continuità del canale che porterà l’urina verso l’esterno. Questo passaggio prevede il posizionamento di un catetere vescicale indispensabile per garantire un’adeguata cicatrizzazione. Il catetere dovrà essere mantenuto per qualche giorno.
L’intervento può essere eseguito tramite chirurgia tradizionale, laparoscopica o robotica.
Nel primo caso il chirurgo effettua un’incisione sull’addome del paziente e da qui si procede con l’intervento.
La laparoscopia tradizionale e la laparoscopia robot-assistita rappresentano le cosiddette tecniche mininvasive per il trattamento del tumore prostatico
Nella chirurgia mininvasiva vengono eseguite delle piccole incisioni (inferiori ad un centimetro) sull’addome del paziente attraverso le quali vengono introdotti una telecamera e gli strumenti laparoscopici. Viene a questo punto inserito un gas che distendendo i tessuti, permette di operare in uno spazio più ampio e di ridurre il sanguinamento. La telecamera è dotata di una fonte luminosa ed è connessa ad un monitor che permette di vedere in tempo reale e con un’alta definizione delle immagini lo spazio operatorio. Gli strumenti laparoscopici consistono in una sorta di bacchette alla cui estremità troviamo una versione miniaturizzata dei classici ferri chirurgici impiegati nella chirurgia tradizionale (bisturi elettrico, forbici, portaaghi etc.). A questo punto si procede con l’intervento più o meno con le stesse modalità impiegate per l’intervento chirurgico tradizionale.
Le tecniche mininvasive di prostatectomia radicale garantiscono un minore traumatismo per il paziente, un minore rischio di infezioni e sanguinamenti e complessivamente un decorso operatorio più breve e un più rapido ritorno alla vita normale.
L’introduzione della tecnologia robotica ha portato l’intervento di prostatectomia radicale mininvasiva ad un livello superiore.
I vantaggi del robot rispetto alla laparoscopia tradizionale sono infatti molteplici. Il robot consente infatti una visione tridimensionale magnificata (aumentata fino a 10 volte rispetto alla normale visione del nostro occhio), con un’immagine ferma a garantire la possibilità di eseguire manovre più delicate e complesse.
Lo strumentario robotico riproduce gli stessi movimenti del polso umano permettendo di effettuare movimenti che in laparoscopia tradizionale non sarebbero altrimenti possibili.
Infine, il Robot permette, quando possibile, una maggior tutela delle strutture anatomiche che circondano la prostata.
Riassumendo, i reali vantaggi del robot rispetto alla chirurgia laparoscopica tradizionale consistono in:
un recupero più rapido della continenza urinaria;
una ripresa più rapida della potenza sessuale;
eliminazione del tremore fisiologico della mano del chirurgo;
facilità di accesso ad ogni zona anatomica;
maggiore accuratezza del movimento chirurgico.
Per i pazienti ai quali viene posta una diagnosi di tumore prostatico a basso rischio possono essere candidati alla cosiddetta sorveglianza attiva.
Tale modalità di gestione ha il fine di evitare o comunque ritardare un trattamento attivo della malattia (chirurgia o radioterapia) consentendo di evitare gli effetti collaterali, che in alcuni casi possono avere ripercussioni negative sulla qualità della vita dei pazienti.
Esistono vari protocolli di sorveglianza attiva che prevedono la determinazione seriata dei valori di PSA tot, l’esecuzione di risonanza magnetica multiparametrica, la re-biopsia prostatica e la visita urologica da eseguire con cadenze periodiche prestabilite.
Nel caso in cui il tumore manifesti una progressione verso una forma a maggiore aggressività o nel caso in cui il paziente manifesti la volontà di eradicare la malattia, potrà essere proposto un trattamento terapeutico vero e proprio.