Si definisce sindrome del giunto pieloureterale il restringimento congenito del punto di connessione tra la pelvi renale e l’uretere in quella zona anatomica definita per l’appunto giunto pielo-ureterale
Tale restringimento può determinare un ostacolo al normale deflusso dell’urina, che di conseguenza si accumula nella pelvi renale, provocandone la dilatazione. In base all’entità dell’ostruzione si può ottenere una progressiva dilatazione delle cavità escretrici (calici), con conseguente progressiva sofferenza da compressione del parenchima renale che può portare all’insorgenza di varie complicanze come infezioni delle vie urinarie o formazione di calcoli.
Nei casi più gravi l’evoluzione può essere anche la perdita funzionale del rene con possibile sviluppo di insufficienza renale.
La sindrome del giunto pielo-ureterale può essere asintomatica con una diagnosi che si ottiene in maniera incidentale. Quando è sintomatica può portare alla comparsa di infezioni delle vie urinarie, coliche renale o sintomi sistemici legati all’insufficienza renale.
L’ecografia addominale solitamente risulta essere l’esame di primo livello nella diagnosi di tale patologia. L’introduzione dell’ecografia nei protocolli di valutazione prenatale, ci permette oggi di eseguire una diagnosi estremamente precoce di un’eventuale sindrome del giunto pieloureterale. La TAC dell’addome con MDC con studio della fase urografica (URO-TAC) fornisce uno studio anatomico e funzionale dei reni e delle vie urinarie e permette di pianificare al meglio un eventuale trattamento chirurgico; la risonanza magnetica rappresenta un’alternativa alla TAC per ridurre l’esposizione a radiazioni.
La Scintigrafia renale sequenziale permette uno studio accurato della funzionalità renale, e una valutazione dell’entità dell’ostruzione al deflusso dell’urina.
Quando indicato, il trattamento è di tipo chirurgico e consiste nel rimodellamento del giunto pieloureterale. Si tratta di un intervento chirurgico, eseguibile sia in laparoscopia tradizionale sia con l’ausilio della chirurgia robotica, durante il quale il bacinetto renale e l’uretere vengono rimodellati per asportare il segmento stenotico e creare un ampio passaggio per l’urina.
Tale tecnica è risolutiva in più del 95% dei casi. L’intervento maggiormente praticato è la pieloplastica che prevede l’asportazione del segmento ristretto e una successiva plastica di ricostruzione. Al termine della plastica viene inserito un tutore ureterale (stent a doppio J) a protezione, che verrà rimosso (ambulatorialmente) 4-6 settimane dopo l’intervento.
L’approccio robotico o laparoscopico tradizionale riducono sensibilmente i tempi di degenza con tagli chirurgici che, viste le esigue dimensioni, non esitano in cicatrici deturpanti.